Il tempo trascorso dall’ultima edizione di questo volume (2018) dimostra che il mondo è tutt’altro che pacificato. Nel 2020 si è verificato il trauma rappresentato dalla pandemia che ha avuto una dimensione globale e negli Stati democratici ha svolto un’incidenza notevole sia sulle limitazioni, per quanto necessarie, ai diritti costituzionali e sulla vita quotidiana delle persone sia sui rapporti tra i poteri con un ruolo sempre più decisivo del vertice del potere esecutivo e un ulteriore ridimensionamento di quello del Parlamento. Dal febbraio 2022 la guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina ha prodotto conseguenze sull’impegno militare degli Stati facenti parte della NATO e dell’Unione Europea, del quale non si vede per il momento quale possa essere lo sbocco, e ci ha restituito la prospettiva di un mondo multipolare conflittuale, destinato anche questo a produrre effetti sul funzionamento degli Stati, democratici e non, e sui loro reciproci rapporti, facendo riemergere, anche se in via solo teorica, la terribile prospettiva di una guerra nucleare catastrofica.
L’evoluzione delle forme di Stato avviene all’insegna di una progressiva inversione del processo di democratizzazione che si era manifestato a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Intanto è risultata frustrata l’aspettativa di chi aveva ipotizzato che in vari Stati socialisti (a parte l’eccezione della Corea del Nord) la progressiva apertura verso l’esterno e l’introduzione di elementi di mercato nella economia, superandone la natura interamente statalistica e pianificata, avrebbero determinato una evoluzione in senso democratico a livello politico e istituzionale. La Cina popolare costituisce un esempio paradigmatico di come possa realizzarsi un connubio inedito tra sviluppo economico di tipo capitalistico con la crescita importante di un settore privato e il mantenimento di un regime politico-istituzionale fondato sul monopolio del partito comunista e sulla assoluta concentrazione del potere, rafforzata dal ruolo centrale attribuito al Presidente della Repubblica Xi Jinping dalla riforma costituzionale del 2018 che ha abolito il limite del doppio mandato alla sua rieleggibilità.
Un secondo fattore di preoccupazione è rappresentato dall’affermarsi di tendenze autocratiche in Paesi che pure avevano adottato nelle loro Costituzioni principi e diritti democratici. Qui si possono distinguere due situazioni. La prima è rappresentata dalle “democrazie illiberali”, che trovano oggi il loro principale riferimento in Polonia e Ungheria, due Stati collocati nel cuore dell’Europa. In entrambi si svolgono elezioni relativamente libere, ma vi è una compressione dei diritti politici, cui si accompagna un controllo governativo sui mass media, e un ridimensionamento delle garanzie attraverso la subordinazione della giustizia, anche grazie allo svuotamento dei Consigli della magistratura. Anche se non si può affermare che ci si trovi di fronte a una nuova forma di Stato, non vi è dubbio che i provvedimenti adottati costituiscano quanto meno un vulnus della democrazia che trova il suo fondamento non solo nel suffragio universale, ma nel riconoscimento e nella tutela dei diritti. La seconda situazione è quella di Stati, a proposito dei quali negli anni scorsi sono state coniate diverse formule (democrature, democrazie imperfette, democrazie di facciata) che in realtà rappresentano il nuovo volto assunto dallo Stato autoritario nel mondo contemporaneo, in quanto la concentrazione del potere nelle mani di un Presidente eletto plebiscitariamente e confermato ripetutamente nella carica, leader del partito dominante e talvolta unico, e la compressione dei diritti sono tali da recidere qualsiasi legame effettivo con un assetto di tipo democratico. Alludo in particolare alla Russia di Putin, la cui crescente involuzione autoritaria combina la forte repressione del dissenso interno con l’intervento militare esterno come quello che si è verificato in Ucraina. Ma vi rientrano anche vari Stati derivati dalla disgregazione dell’ex URSS, come la Bielorussia e il Kazakhstan che si sono ispirati al modello russo e la Turchia di Erdogan che ha accentuato i suoi tratti autocratici.
La terza situazione preoccupante è data dall’esistenza di fattori di crisi anche all’interno delle democrazie consolidate. La raffigurazione plastica delle minacce alla democrazia è stata rappresentata da due gravi avvenimenti: il 6 gennaio 2021 a Washington l’attacco alla sede del Congresso degli Stati Uniti, incoraggiata dal Presidente uscente formalmente ancora in carica, volta a impedire la proclamazione del nuovo Presidente; il 9 ottobre 2021 a Roma la devastazione della sede nazionale della più grande confederazione sindacale italiana, guidata da una organizzazione fascista alla testa di un folto corteo che intendeva dirigersi verso le sedi della Presidenza del Consiglio e della Camera dei deputati.