Il tema dell’aumento del capitale sociale assume una connotazione specifica qualora risulti funzionale – in via autonoma o in combinazione con altre operazioni straordinarie – al superamento della crisi dell’impresa commerciale esercitata in forma societaria. Ciò vale indipendentemente dal fatto che tale obiettivo sia raggiunto tramite il ricorso a procedure tipizzate di risanamento e di ristrutturazione del debito piuttosto che nell’ambito di accordi che prescindano dal ricorso agli strumenti di superamento della crisi contemplati dalla legge fallimentare.
Tenendo conto del recente dibattito dottrinario relativo al complesso rapporto tra disciplina societaria e regole fallimentari e alla (possibile) emersione di un “diritto della crisi d’impresa”, la prospettiva adottata dalla monografia è, in particolare, quella dei soci di società per azioni che – a fronte di una situazione di crisi e assumendo la sussistenza di valori latenti delle proprie partecipazioni – siano, da una parte, disponibili a effettuare nuovi conferimenti in denaro e, dall’altra parte, rischino tuttavia di subire gli effetti diluitivi discendenti dall’eventuale esclusione del diritto di opzione. Si tratta, pertanto e in termini generali, di verificare, sotto tale profilo, gli interessi di quei soci che, in ragione della loro partecipazione, non siano in grado di controllare il processo di risanamento.
Con particolare riguardo alla disciplina del concordato preventivo, tale ultima situazione potrebbe infatti verificarsi sia nel caso in cui gli amministratori della stessa società debitrice si facciano promotori di un proposta di concordato il cui piano coinvolga un nuovo investitore nella veste di “cavaliere bianco” a cui sia riservato un aumento di capitale, sia – anche in ragione degli ultimi interventi del legislatore sulla disciplina del concordato preventivo – in conseguenza di una proposta presentata da un creditore in “concorrenza” con quella della società debitrice che contempli, a sua volta, un’operazione di aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione a proprio beneficio.
L’obiettivo di questa monografia è in particolare quello di individuare – anche in ottica de jure condendo in ragione della probabile riforma della disciplina fallimentare – uno o più criteri in ragione dei quali si possa ritenere sussistente l’interesse sociale in modo tale da giustificare, secondo le regole societarie, l’esclusione del diritto di opzione; e, inoltre, di verificare di quali tutele – nell’ambito concorsuale o societario – possano disporre i soci nel caso in cui subiscano un pregiudizio quale conseguenza dell’esclusione illegittima del diritto di opzione. Le conclusioni raggiunte si basano, tra l’altro, da una parte, sulla considerazione dell’essenzialità dell’acquisizione del controllo in forma totalitaria da parte dell’investitore della società distressed (con la conseguente definitiva fuoriuscita dei soci originari dalla compagine sociale) e, dall’altra parte, sulla necessità di individuare (sia sul piano societario, sia su quello concordatario) opportuni ed efficaci strumenti di tutela della posizione dei soci che lamentino un’illegittima estromissione dalla società con la conseguente impossibilità per questi ultimi di poter beneficiare delle eventuali prospettive di risanamento e, più in particolare, del recupero dei valori latenti delle azioni di cui sono titolari.