È opinione sempre più condivisa che il nostro tempo sia caratterizzato da una «inarrestabile transizione da un diritto che si produceva in forma gerarchica a un diritto che viene scritto e riscritto da soggetti diversi, legislatore, giudice, autorità indipendenti, dottrina, privati». Evoluzione...
È opinione sempre più condivisa che il nostro tempo sia caratterizzato da una «inarrestabile transizione da un diritto che si produceva in forma gerarchica a un diritto che viene scritto e riscritto da soggetti diversi, legislatore, giudice, autorità indipendenti, dottrina, privati». Evoluzione ulteriormente accentuata dal rilievo che i profondi mutamenti del contesto culturale, istituzionale ed economico che caratterizzano il nostro tempo hanno determinato l’esigenza di strumenti di regolazione dei rapporti più duttili, e perciò più adatti alla disciplina di fenomeni complessi, favorendo un graduale ampliamento degli spazi di autoregolamentazione in aree precedentemente sottratte all’autonomia privata.
Ciò si traduce, nella specificità della nostra ricerca, in un graduale ampliamento degli spazi di regolamentazione conquistati dai c.d. “poteri privati” che impone una rimeditazione della ripartizione di competenze tra autonomia dei privati e autorità dello Stato ricevuta dalla tradizione.
Una importante chiave di lettura del profondo cambiamento conseguente alla formalizzazione del principio di sussidiarietà nell’art. 118 Cost. è stata individuata nelle sentenze della Corte Costituzionale 24 settembre 2003, nn. 300 e 301 che, facendo applicazione di quel principio, hanno ridefinito il rapporto tra competenza dello Stato e competenza dei privati, stabilendo che la fondamentale ripartizione di competenze tra lo Stato, nelle sue diverse articolazioni e le organizzazioni in cui si esprimono le «libertà sociali» costituzionalmente garantite, si attua nel senso che a queste ultime spetta una competenza originaria e primaria in materia di “beni privati”, nel senso indicato dalla Corte che comprende le materie in cui vengono in rilievo interessi privati seppure a rilievo generale come ad esempio la ricerca scientifica, la sanità, l’assistenza e beneficenza, ecc.
Il tenore testuale dell’art. 118, comma 4, Cost. secondo il quale «Stato, Regioni, Città metropolitane, Provincie e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», da un lato dà rilievo al principio organizzativo in forza del quale per la regolazione di interessi privati, seppur di rilevanza generale, la competenza originaria e primaria spetta ai soggetti privati, singoli o tra loro associati, dall’altro stabilisce che lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, potrà e dovrà legittimamente intervenire quando l’autoregolazione dei privati si dimostri in concreto inidonea a realizzare un’equilibrata tutela di tutti gli interessi in gioco. Tale intervento sarà però legittimo solo in quanto rispetti i principi di ragionevolezza e proporzionalità e, dunque, comprima la competenza primaria dei privati nei limiti strettamente necessari alla tutela dell’interesse che non trova adeguata realizzazione.
Come meglio si vedrà all’interno della presente ricerca, ciò ha indotto ad una specifica riflessione sul rapporto tra l’autonomia dei privati configurata dall’art. 118, comma 4, Cost. e l’autonomia contrattuale cui fa riferimento l’art. 1322 c.c.
Si è infatti acutamente posto il problema se l’espresso riferimento alle attività di interesse generale contenuto nell’art. 118, comma 4, Cost. ponga questi poteri di autonomia su piani diversi; ciò nel senso che l’autonomia dell’art. 1322 c.c. si esprime nel contratto ed è per sua natura autorizzata a regolare rapporti tra le parti del contratto; ad essa è estranea la regolazione di interessi generali. Il potere di autoregolazione attribuito ai privati nelle materie in cui si esprime la loro competenza originaria e primaria in forza del principio di sussidiarietà formalizzato nell’art. 118, comma 4, Cost. è, invece, potere di dettar regole che, riguardando interessi a rilievo generale, sono produttive di effetti nei confronti di tutti i portatori di quegli interessi, anche se essi non hanno partecipato alla loro costruzione, come avviene, ad esempio, nel caso dei codici di condotta che infatti, secondo l’opinione prevalente, producono effetti non solo per i soggetti appartenenti alla categoria che ha approvato il codice, ma anche per tutti coloro che con questi vengono in relazione con riferimento alle materie oggetto dell’autoregolamentazione.