L’obbligazione di tradizione europeo-continentale non è pensabile senza la buona fede e la correttezza. Ciò è vero anzitutto sul piano storico, se si ricorda che è possibile risalire fino al diritto romano per trovare già germogliata l’idea che l’obligatio è un vinculum iuris governato da una regola di condotta desunta dall’habitus del bonus vir, e per questo ellitticamente definita, con una caratteristica inversione dell’aggettivo, fides bona. Ma l’impossibilità di pensare un’obbligazione amputata della buona fede si evince anche con riferimento alla modernità e alla contemporaneità giuridica, ove si è riconosciuto nella buona fede sia un parametro di conformazione del rapporto, sia una fonte di integrazione dello stesso, nonché l’elemento in grado di qualificare quel contatto sociale che, altrimenti lasciato nell’indifferenziato, sarebbe destinato o all’irrilevanza oppure, ma solo ove ne ricorrano i presupposti, alla tutela aquiliana. Con ciò, peraltro, si mette allo scoperto non solo la ricchezza del contenuto dell’obbligazione, ma anche una pluralità dell’obbligazione stessa in riferimento alle sue fonti: esse si aprono alla tutela di una dimensione relazionale connotata dall’affidamento o meglio dalla possibilità di fare affidamento (soprattutto in ambito professionale) che la maggior frequenza e intensità dei rapporti socio-economici richiede, e quindi a una nuova forma di tutela al di là delle tradizionali figure del contratto e del fatto illecito che nella modernità hanno enfatizzato il momento volontaristico, sia nel suo risvolto positivo (volontà del contratto) sia nel suo risvolto negativo (volontà riprovevole in termini di dolo o di colpa).
Tale innovazione giuridica è spesso riferita all’ordinamento tedesco, ma va rilevato, senza alcuna intenzione di disconoscere il fattore ispiratore derivante da quell’esperienza giuridica, che in Italia essa presenta tratti originali e ha trovato altresì un fondamento più sicuro non solo nelle svariate norme giuridiche che a partire da quella sulla responsabilità precontrattuale ospitano puntuali ipotesi di obblighi di protezione, ma pure nel dettato dell’artt. 1173 c.c. con la sua apertura verso quei fatti o atti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico. Certo, tale guadagno è reso possibile in primo luogo dalle potenzialità della buona fede, la clausola generale per eccellenza; nondimeno tali potenzialità vanno comprese all’interno di un discorso giuridico metodologicamente sorvegliato, e quindi consapevole dei propri vincoli e limiti. La neo-dogmatica che si esprime nell’elaborazione della categoria degli obblighi di protezione integrativi o autonomi (obbligazione senza prestazione) mira appunto a dar senso e concretezza alle potenzialità della clausola generale della buona fede e correttezza, proponendo un modello di tipizzazione che ricerca l’integrazione sistematica, anziché rifiutarla, e che si propone pertanto come sviluppo della dogmatica giuridica, senza scivolare nell’anticoncettualismo e nella riduzione delle clausole generali a formule retoriche per applicazioni di matrice ideologica o quali semplici scorciatoie per la soluzione dei molteplici problemi del diritto contemporaneo.
Queste sono, in estrema sintesi, le coordinate che hanno segnato la redazione delle seguenti pagine, destinate alla pubblicazione in uno dei volumi del Trattato del Diritto Privato diretto da Salvatore Mazzamuto e che si presentano in forma di estratto al fine di garantirne una più agevole consultazione. La suddivisione in tre capitoli consente, in primo luogo, di definire forma e contenuto della buona fede, per poi mostrare in che modo essa si innesti nella logica e nella struttura del rapporto obbligatorio, nei confronti tanto dell’interesse di prestazione, quanto di quello di protezione nonché come la tutela di quest’ultimo possa pure manifestarsi in forma autonoma. In generale, il discorso è condotto in riferimento a opere di studiosi e alla giurisprudenza con frequenti esempi di casi concreti in modo che «problema» e «sistema» si schiariscano reciprocamente evidenziando luoghi e topoi argomentativi in cui tale sviluppo giuridico si concretizza e si svolge.
Ciò consente anche di rimarcare l’importanza di un confronto tra dottrina e giurisprudenza, che, se condotto nella consapevolezza dei rispetti ruoli e limiti, fornisce l’occasione per uno sviluppo armonico e sistematicamente coerente del diritto: uno sviluppo che rispetta la legge scritta rendendola viva proprio tramite il dibattito scientifico e l’opera non meccanica ma nemmeno autoreferenziale di applicazione alla realtà. E infatti, proprio le forme giuridiche nuove in cui trova protezione l’affidamento costituiscono l’esempio forse più rilevante di sviluppo del diritto privato (Rechtsfortbildung) conseguito attraverso l’opera della dottrina in fertile dialogo con la giurisprudenza.
Un’ultima precisazione va fatta a proposito del titolo del lavoro, all’interno del quale si è ritenuto opportuno affiancare alla buona fede la parola “correttezza”, cioè quella precisamente utilizzata dal Codice civile nell’art. 1175 c.c., che, riferendosi sia al debitore sia al creditore, fa emergere il «criterio di reciprocità» in cui Emilio Betti ha scorto l’essenzialità della regola di fides bona.