Il testo “Cento e una voce di filosofia dal diritto” a cura di Francesco D’Agostino e Agata C. Amato Mangiameli, cercando di individuare le più rilevanti voci di filosofia dal diritto, ha immediatamente escluso quelle di spiccato carattere politico, alle quali sono state dedicati negli ultimi...
Il testo “Cento e una voce di filosofia dal diritto” a cura di Francesco D’Agostino e Agata C. Amato Mangiameli, cercando di individuare le più rilevanti voci di filosofia dal diritto, ha immediatamente escluso quelle di spiccato carattere politico, alle quali sono state dedicati negli ultimi decenni appositi dizionari, la maggior parte dei quali (a partire da quello “classico” curato da Norberto Bobbio e Nicola Matteucci) sono ancora utilmente consultabili. Questa decisione ha permesso altresì di restringere il numero dei lemmi accolti nel volume, che sono stati ricondotti al numero di cento e uno. Scopo di ogni voce non è quello di fornire al lettore una trattazione compiuta del tema, ma di aiutarlo a percepirne il rapporto (logico o dialettico) col diritto. Di conseguenza, si presuppone che il lettore di queste abbia, per ciascuna di esse, un’adeguata precomprensione. Riprendendo la sottile distinzione di André Gide, tra opere in cui si entra “nudi” e opere in cui si deve entrare già “vestiti”, non c’è dubbio che Cento e una voce di filosofia dal diritto appartenga a questa seconda categoria. Chi – soprattutto se giurista per professione o per vocazione – arrivasse mai a leggere tutte le voci e a meditarne il contenuto, finirà probabilmente per trovarsi in un curioso stato d’animo. Si convincerà che al diritto non si sfugge, anche quando lo si vorrebbe. Si convincerà che il diritto formalizza tutto ciò che tocca, anche ciò che è intrinsecamente irriducibile alla formalizzazione, come, per fare l’esempio più eclatante, l’amore. Condividerà la profonda considerazione di uno dei massimi autori del Novecento, che individuava nella malinconia il carattere più proprio della giustizia. Ma arriverà anche a condividere un’ulteriore opinione dello stesso autore quando osserva che la legge, ogni legge, ha effetti refrigeranti e che tutto ciò che possiede un calor proprio (e l’uomo lo possiede in modo assolutamente eminente nell’ordine della natura) ha bisogno del refrigerio delle norme. Giungere a questa consapevolezza non renderà più accattivante l’esperienza del diritto, ma certamente aiuterà a considerarla meglio nella sua verità, cioè nella sua umanità.
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