Si è ritenuto opportuno addivenire ad una riflessione complessiva sul tema del rapporto tra diritti e rimedi, fino a questo momento affidata ad alcuni saggi che il sottoscritto ha dedicato al tema e pubblicati nella Rivi-sta Europa e Diritto Privato.
Il “rimedio”, già in linea approssimativa, ...
Si è ritenuto opportuno addivenire ad una riflessione complessiva sul tema del rapporto tra diritti e rimedi, fino a questo momento affidata ad alcuni saggi che il sottoscritto ha dedicato al tema e pubblicati nella Rivi-sta Europa e Diritto Privato.
Il “rimedio”, già in linea approssimativa, può definirsi uno strumento di risposta alla violazione di un diritto o alla mancata soddisfazione di un interesse giuridicamente riconosciuto, ma non enunciato tuttavia in una regola sanzionatoria che è preoccupata principalmente di descrivere la fattispecie e i suoi effetti.
Pur essendo il nostro ordinamento un diritto codificato, lo spazio occupato da una prospettiva rimediale appare innegabile. Lo spazio è quello lasciato dalla zona coperta da regole di fattispecie che spesso lasciano scoperti vuoti normativi con riguardo ai molteplici bisogni di tutela manifestati da interessi che restano insoddisfatti.
Sembra quasi un paradosso che, ad esempio forme di tutela c.d. specifica, e cioè che assicurano al titolare proprio il conseguimento “del bene della vita” cui esso ha diritto (ad es. la prestazione dovuta) non siano espressamente enunciate, ritenendosi, in via generale, sufficiente che la tutela dell’interesse insoddisfatto abbia luogo per via equivalente e cioè attraverso il risarcimento del danno. Esemplare è la regula aurea del-l’art. 1218 c.c., ove l’inadempimento dell’obbligo non sembra dar luogo ad altro effetto che al risarcimento del danno.
Disposizioni sostanzialmente a carattere processuale (come gli artt. 2930 cod. civ. e segg.) presuppongono che esista per loro risposta già sul terreno del diritto sostanziale.
In altro settore è da osservare come le stesse “conseguenze” che si ricollegano alla fattispecie dello inadempimento dell’obbligazione non giungono a ricomprendere effetti che non sono rappresentati nell’oggetto della obbligazione, così come ad es. con riguardo ai c.d. danni che non sono “conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento”, secondo un rigido criterio di causalità (art. 1223 c.c.) ma solo da esso “occasionati” e tuttavia non meno rilevanti dal punto di vista giuridico, onde si pone il problema della loro risarcibilità, perché non ricompresi nell’oggetto della obbligazione. Anche in tale direzione resta aperto il campo di una prospettiva rimediale, che abbia a costituire risposta a tale evenienza.
Ma anche il tema della validità e/o invalidità dei negozi giuridici può rivelarsi sensibile ad una prospettiva in termini di rimedi, là dove la rigida applicazione della regola di fattispecie sulla nullità degli atti (art. 1418 c.c.) lasci privi di tutela interessi residuali, che tuttavia potrebbero trova-re risposta sul terreno dei rimedi. La figura della c.d. “nullità di protezione”, così prevista dal codice del consumo all’art. 36, può essere utilmente richiamata.
Infine, l’intero settore dei rapporti tra soggetti e Pubblica Amm.ne non è indifferente alla tutela per via dei rimedi. Si può addirittura dire che la stessa figura dell’interesse legittimo, che designa la posizione del privato a fronte della P.A. si afferma in una prospettiva rimediale, nella misura in cui con esso si intende porre “rimedio”, oltre che sul terreno (della affermazione) del principio di legalità, anche del risarcimento del danno all’esercizio del pubblico potere che ha deviato dalla sua funzione.
In conclusione, la tutela assicurata ed integrata attraverso i rimedi in-tende rappresentare un piano mobile, non limitato alla previsione di azioni tipiche. Occorre cioè tenere conto che la stessa tutela, per sua natura, non è destinata ad esaurirsi nella stessa riaffermazione del diritto leso o violato ma va anche al di là per ricomprendere aspetti che sono anche al di fuori di essa.
Del resto, è lo stesso diritto codificato ad individuare la via del rime-dio, là dove ad es. attraverso la regola aurea (del risarcimento) del danno “ingiusto” (art. 2043 c.c.), fa a meno del ricorso ad una regola di fattispecie, per ritenere sufficiente che il danno subito dal titolare dell’interesse abbia a qualificarsi contra legem, così da invocare la presenza di una risposta sul terreno dei rimedi.
Una possibile lettura sarebbe quella diretta a concentrare il rilievo della prospettiva rimediale sul terreno processuale, approfittando del fatto che il sistema processuale non è più legato al principio della tipicità delle azioni (v. art. 24 Cost.) e che potrebbe dunque aversi risposta nella discrezionalità dei mezzi cui i giudici possono fare ricorso a fronte della violazione dei diritti. Sarebbe questa tuttavia una lettura riduttiva della prospettiva rimediale, la quale invece aspira a trovare collocazione proprio sul terreno allocativo dei diritti, provvedendo così ad integrare la regola della fattispecie e dei suoi effetti.
Ecco dunque il campo aperto per un sistema di tutela che, al di là delle regole di fattispecie, individui bisogni di tutela da esse non previste ma pur rientranti nella loro area di normatività. Non si tratta dunque di introdurre per via indiretta forme di riconoscimento e di giuridificazione di interessi “altri” ma di individuare nella c.d. interfaccia dello stesso sistema di tutela dell’interesse, aspetti od effetti da considerarsi in esso implicitamente presupposti e che occorre portare alla luce.