Con l’espressione vocare in tributum si identifica, secondo quanto può essere dedotto dai commentari edittali presenti all’interno del titolo del Digesto sull’actio tributoria (D. 14.4), la chiamata alla distribuzione tra i creditori, in una posizione di par condicio, delle ...
Con l’espressione vocare in tributum si identifica, secondo quanto può essere dedotto dai commentari edittali presenti all’interno del titolo del Digesto sull’actio tributoria (D. 14.4), la chiamata alla distribuzione tra i creditori, in una posizione di par condicio, delle merces peculiares di un servus (o filius) che abbia gestito una negotiatio sciente domino (aut patre).
Tuttavia, si pone ancora oggi l’interrogativo se questa chiamata alla tributio possa qualificarsi come effetto di un atto di imperio del magistrato, adito dai creditori procedenti per ottenere un ordine che imponga al pater o dominus la distribuzione della merx peculiaris oppure debba configurarsi come la conseguenza di una mera richiesta rivolta dai creditori stessi direttamente al titolare della negotiatio per vedere soddisfatte le loro pretese. Le due ipotesi, chiaramente non coincidenti tra loro, concordano, tuttavia, sulla sufficienza del vocare in tributum nel caso in cui i crediti vantati siano proporzionalmente pagati a seguito di questa chiamata.
Conseguentemente, nel testo “Vocare in tributum nelle fonti classiche e bizantine” di Alessandro Cassarino, ci si propone di analizzare il procedimento del vocare in tributum, in modo indipendente dalla susseguente ed eventuale actio, e di comprenderne i motivi dell’introduzione, accertando se, nei periodi storici successivi, abbia subito modifiche che ne abbiano potuto completare o snaturare la fisionomia giuridica. Nel fare ciò, volutamente abbiamo evitato l’uso del lemma vocatio in tributum, comunemente in uso, prediligendo, invece, quello di vocare in tributum, in adesione all’opinione di chi ha rilevato l’inesistenza nelle fonti del primo termine.