L’errore giudiziario costituisce da sempre il rovescio oscuro del fenomeno processuale: elemento connaturale alla ineluttabile fallibilità del rito penale e insopprimibile occorrenza in ogni sistema, la possibile condanna dell’innocente rappresenta però, al contempo, un cru...
L’errore giudiziario costituisce da sempre il rovescio oscuro del fenomeno processuale: elemento connaturale alla ineluttabile fallibilità del rito penale e insopprimibile occorrenza in ogni sistema, la possibile condanna dell’innocente rappresenta però, al contempo, un cruciale pungolo per il progressivo miglioramento degli istituti processuali e del diritto probatorio, idealmente plasmati quali strumenti atti ad evitare «agli onesti» di «cader vittima di errori giudiciarii».
Ebbene, proprio questa duplice natura dell’errore – drammatico sviamento dal traguardo ultimo del giudizio e parametro continuo di perfezionamento della “meccanica” del processo – è stata oggetto dell’articolato ciclo di seminari sulla “Cultura della prova” – qui raccolti – dedicati agli studenti delle tre cattedre di Diritto processuale penale dell’Università degli Studi Roma Tre.
La ragione che ha condotto a prescegliere siffatta tematica quale file rouge del testo “Errori giudiziari e background processuale” di Luca Luparia, Luca Marafioti e Giovanni Paolozzi, è da ricollegarsi alla constatazione d’una tendenziale marginalizzazione dell’argomento nell’odierno dibattito giuridico europeo, così come nella percezione di operatori e legislatore.
Per una sorta di atavico tabù, di riluttanza a riconoscere la prospettiva del concreto verificarsi d’errori giudiziari nei Tribunali del vecchio continente, si è potuto registrare negli ultimi anni un sostanziale prosciugamento delle analisi sulla portata e sulle cause del problema, unita ad una scarsa ricerca di possibili nuovi congegni remediali.
Con una forza inedita, tuttavia, è recentemente giunta in Europa l’eco dell’esperienza maturata negli ultimi decenni dall’innocence movement statunitense che ha disvelato, non soltanto ai vertici politici nazionali ma al mondo intero, una realtà fatta di sconcertanti statistiche sui casi di wrongful convictions e di singole “scoperte” di condanne ingiuste capaci di mettere in dubbio la stessa modalità di governo della criminal justice in uno dei Paesi simbolo della democrazia occidentale e – dato non trascurabile – fonte di ispirazione per il nostro attuale modello di processo penale. Il volume non propone dunque una marcata impronta comparativa, ma, più semplicemente, prende avvio dal recente dibattito di common law per esaminare con taglio critico i punti vitali del rito italiano, sulla scorta della convinzione che gli studi stranieri sul miscarriage of justice abbiano mostrato come le cause dell’errore giudiziario costituiscano un dato “universale”, un comune patrimonio di ogni sistema.