La monografia Fake news e diritto penale affronta, per la prima volta in maniera organica e approfondita, il rapporto tra manipolazione digitale del consenso e sistema punitivo.
Il volume, che muove da un ampia trattazione volta a definire gli elementi che caratterizzano il fenomeno della diffusione massiva di notizie false come originale e originario rispetto all’evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione di massa, muove dal postulato che le fake news rappresentino un prodotto della contemporaneità, frutto dell’interazione di più formanti: culturale, tecnologico e bio-psichico.
Una volta chiarito il perimetro dell’indagine, l’Autore si dedica alla ricostruzione del sistema punitivo – interno e internazionale – dedicato alla prevenzione e alla repressione del fenomeno della manipolazione digitale del consenso, mettendone in luce la dimensione eminentemente politica e i profili di tensione con il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, vera e propria pietra angolare di qualsiasi sistema democratico.
La disamina del quadro comparatistico, ricostruito secondo i due modelli della repressione delle fake news nelle democrazie liberali – su tutte, Francia e Germania – e nei sistemi autoritari – Russia, Cina, Vietnam, Malesia – dimostra come il rischio insito nella previsione di reati ad hoc consista nella introduzione di potenti meccanismi censori, volti a comprimere gli spazi di libertà individuale e collettiva, piuttosto che a reprimere il fenomeno della diffusione di notizie false.
Ad analoghe conclusioni si giunge all’esito della disamina dei progetti di legge presentati in Italia nella scorsa e nell’attuale legislatura, nessuno dei quali esente da profili critici in una prospettiva penalistica costituzionalmente orientata.
Ciò non toglie che l’analisi del sistema penale vigente in materia di stampa e in materia elettorale, che costituisce la parte centrale della monografia, abbia dimostrato come non sia possibile rinvenire, nell’ordinamento punitivo vigente, strumenti efficaci a garantire tutela a beni giuridici di primario rango costituzionale, quali la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di formazione del consenso in occasione delle competizioni elettorali.
In particolare, nel diritto penale della stampa al rigore sanzionatorio per gli operatori tradizionali – si pensi alla responsabilità del Direttore responsabile ex art. 57, solo formalmente di natura colposa, ma di fatto intrinsecamente permeata di stilemi di responsabilità oggettiva – si accompagna un evidente vuoto di tutela per chi opera attraverso i new media; analogamente, il diritto penale elettorale, pensato nell’epoca in cui le campagne elettorali si svolgevano nelle piazze, non rappresenta più uno strumento idoneo a prevenire gravi abusi commessi nelle agorà virtuali.
Le conclusioni alle quali giunge l’Autore nel concludere la ricerca non possono che essere, data la natura cangiante del tema oggetto di studio, aperte: nell’epoca del diritto penale totale, si impone di rivalutare la centralità del principio di extrema ratio, preferendo all’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici la scelta di introdurre strumenti sanzionatori di tipo amministrativo, governati – date le implicazioni politiche del tema – ad una Autorità amministrativa indipendente.