L’approvazione della l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1 rappresenta un momento di grande importanza nella dialettica delle riflessioni e degli studi che riguardano, nelle sue varie e correlate declinazioni, il “compito comune” che i Costituenti hanno deciso di affidare a quell’entità multiforme e complessa che è la Repubblica.
La riforma, infatti, ha modificato l’art. 9 Cost. – statuendo, al nuovo terzo comma, che la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni» ed affermando che «la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali» – nonché l’art. 41 Cost., cuore della c.d. “Costituzione economica”, prevedendo, al secondo comma, che la libertà d’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» e, al terzo comma, che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
Le principali novità introdotte dal Legislatore costituzionale paiono pertanto individuarsi nell’esplicita costituzionalizzazione del principio dello sviluppo sostenibile – nella forma, dinamica e moderna, della responsabilità intergenerazionale – nell’affermazione, molto discussa in relazione alla sua collocazione sistematica, del principio animalista ed, infine, nella creazione di un eloquente collegamento tra i Principi fondamentali della Costituzione e la prima Parte della medesima, ossia quella dedicata ai diritti ed alle libertà fondamentali (ed ai doveri), andando a configurare un parallelismo che permette di scorgere in trasparenza il principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., in ragione del quale, da sempre, è possibile individuare un rapporto genetico tra diritti fondamentali e responsabilità individuali, collettive ed istituzionali. Peraltro, in relazione a quest’ultima novità, si tratta di una scelta perfettamente coerente con il già affermato inserimento in Costituzione del principio di sostenibilità ambientale, che affonda le sue radici proprio nel rapporto sussistente tra le libertà economiche e la funzionalizzazione sociale delle medesime.
In altri termini, al di là delle singole posizioni che posso legittimamente sostenersi in ordine alla portata della riforma in discussione , non può negarsi che essa, costituendo un ponte diretto tra la c.d. “Costituzione culturale” – ove la cultura, intesa in senso ampio e sistemico, coinvolge non solo il patrimonio culturale in senso stretto ed il paesaggio, ma anche l’ambiente quale sistema complesso, che comprende quantomeno gli ecosistemi e la biodiversità – e la c.d. “Costituzione economica”, imponga di analizzare con attenzione l’emergere di una nozione di sviluppo che, lungi dall’appiattirsi sul concetto classico di sviluppo sostenibile, che intende l’ambiente come necessario limite esterno alla crescita economica, pare assecondare l’idea che il vero sviluppo sia qualcosa che nasce dalla sedimentazione del tempo e delle esperienze, da una selezione “naturale” del meglio che l’umanità è stata in grado di creare, conservando il contesto e le condizioni che permettano la continuazione di tale virtuoso meccanismo.
In un’ottica di questo genere, pare potersi sostenere che il vero baricentro della nozione moderna di sviluppo debba rinvenirsi proprio nell’art. 9 Cost., che, anche secondo un’interpretazione sistematica, è la sede in cui si afferma con maggior chiarezza la fondamentale importanza del bacino delle esperienze passate – nonché, oggi, delle risorse ambientali che ne garantiscono la conservazione e la riproposizione – affinché si possa davvero sperare in un futuro di crescita.