In questo libretto due saggi: il primo dal titolo “Governo delle leggi”, che è poi quello dell’intiero volume, è, quasi alla lettera, la traduzione italiana di un’opera assolutamente
esemplare di un grande giurista inglese, Tom Bingham, che si è occupato di come le leggi svolgono la loro...
In questo libretto due saggi: il primo dal titolo “Governo delle leggi”, che è poi quello dell’intiero volume, è, quasi alla lettera, la traduzione italiana di un’opera assolutamente
esemplare di un grande giurista inglese, Tom Bingham, che si è occupato di come le leggi svolgono la loro funzione. In queste pagine tento di chiarire come le leggi stesse vanno governate. Osservatori dell’esistente giuridico: diversa l’angolazione. Bingham raggiunge in pieno il suo intento. Quanto a me, ho cercato di farcela. In comune l’ingenua speranza che di entrambi i punti di vista si avvalga un benintenzionato operatore, a cominciare da quello deputato a produrre diritto.
Il secondo saggio, “Costanti della legalità”, va inteso come costanti delle regole. Le perplessità, i dubbi, le insofferenze che crea l’idea di legge, espressione tutta formale di una volontà autoritaria, possono anche essere condivise: resta, però, intatta l’idea della regola, la comprensione del diritto quale complesso organico, sistematico, di regole – comunque queste vengano prodotte. Legalità, insomma, uguale sistema regolatorio. Su questo bisogna che ci sia accordo anche con chi vede nel diritto essenzialmente un congegno inventato per la soluzione di concreti conflitti. La linea che divide è
quella che passa tra regola e giudizio, non tra imposizione e spontaneità. Legalità, allora, e, riprendendo quanto sopra detto, citazione per citazione, “costanti”. Il termine e il pensiero che gli sta dietro li ho presi dalla bellissima prolusione di un grande romanista, Giovanni Pugliese. Nel diritto, nell’esperienza giuridica, ci sono nozioni, relazioni che si presentano con altissima frequenza – costanti, appunto: non forme, concetti, rapporti costitutivi essenziali, ma semplice ripetizione, come di un qualcosa di cui è se non impossibile, assai difficile fare a meno. Esprimono una continuità che si mantiene anche quando l’idea che la macchina dello Stato si fa di se stessa muta, tende a mutare radicalmente ed assume valore e senso opposti a quelli di tempi precedenti. È il caso del filo che corre, quasi senza nodi di inciampo, tra le Disposizioni preliminari alla legge in generale e i Principi fondamentali della Carta repubblicana. Stupore quasi indignato, sopracciglia corrugate: ma quelle disposizioni non sono legge fascistissima, del tutto inaccostabili allo statuto che la Repubblica ha inteso darsi? Mi affretto a chiarire. Assolutamente verosimile che il gruppo di giuristi, tecnici del diritto, che ha pensato ed elaborato le Disposizioni fosse convinto che stava mettendo nero su bianco formule giuridiche proprie e caratteristiche dell’ordine fascista. Il punto, però, è un altro. In questa sede non mi sono occupato del perché di queste regole, ma di come esse si offrono a chi le legge: ho cercato di non pensare allo spirito del tempo in cui furono redatte. E allora, vediamole, queste regole, in tutta obiettività. Vediamole anche quando trattano di istituti e rapporti per fortuna cancellati dal nostro ordinamento.