Chiunque si avvicini allo studio della materia dei contratti di gioco e scommessa resta presto colpito dal condizionamento che tale tema ha da sempre subito in forza di una serie di implicazioni e considerazioni che esulano dal campo strettamente giuridico, pur influenzandolo fortemente.
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Chiunque si avvicini allo studio della materia dei contratti di gioco e scommessa resta presto colpito dal condizionamento che tale tema ha da sempre subito in forza di una serie di implicazioni e considerazioni che esulano dal campo strettamente giuridico, pur influenzandolo fortemente.
Nonostante tali temi non siano al centro della nostra ricerca, la quale è esclusivamente giuridica, ci sembra tuttavia utile fare ad essi un seppur breve riferimento, proprio per il ruolo rilevante che talora questi elementi hanno svolto o svolgono nel fornire una definizione culturale, e di conseguenza talora altresì giuridica, dei contratti di gioco e scommessa.
In primo luogo, si devono ricordare i numerosi studi, in diverse scienze umane, che hanno indagato sulla diffusione, in diversi periodi storici ed in diverse culture, delle attività di gioco. Tali studi hanno dimostrato che il gioco è una primaria necessità dell’uomo, indispensabile per garantire lo sviluppo e definire l’identità dell’individuo, rispetto a sé stesso ed agli altri consociati. Inoltre, hanno posto in rilievo gli stretti legami esistenti tra gioco e pratiche divinatorie o religiose.
Tali teorie sono state contestate da altri studiosi i quali, sulla base di dati etnografici e storici, hanno affermato al contrario che il gioco d’azzardo non sarebbe un fenomeno universale, e che non esisterebbe un “istinto a giocare d’azzardo”, teso a soddisfare bisogni individuali o sociali non altrimenti soddisfabili. Secondo tali ricercatori il gioco sarebbe piuttosto un fenomeno culturale, sociale ed economico, ed un mezzo flessibile di redistribuzione della ricchezza, costituente parte integrante del sistema socio-culturale delle società.
Ugualmente critici rispetto a tale approccio sono quei sociologi che hanno negato la natura spontanea del gioco, frutto di caratteri biologici, la sua universalità e il suo essere parte della cultura, e hanno al contrario ricostruito la diffusione del gioco d’azzardo come il prodotto sociale di una premeditata espansione, fabbricata dalla politica e dagli operatori economici, all’interno di un contesto ideologico e filosofico tardo capitalista. Tale operazione avrebbe trasformato, alla fine del XX secolo, il gioco da una attività tollerata in una attività incoraggiata, in quanto attività economica, sulla base del principio della prevalenza della libertà dei singoli di potere consumare prodotti pericolosi, rispetto alla tutela della salute pubblica.
Su un altro piano di ricerca si devono poi ricordare quelle indagini che hanno invece individuato nelle strutture del gioco un mezzo di interpretazione e di comprensione dei meccanismi di funzionamento del reale, che consente di ricostruire attraverso le regole del gioco una metafora della realtà nelle diverse scienze umane, ivi compresa la sociologia ed il diritto.
Quando si parla di gioco e scommessa non si può poi tacere del ruolo svolto da considerazioni morali e sociali nella gestione di tali contratti, ruolo che si è manifestato in modo più o meno esplicito e rilevante, a seconda del periodo storico e del contesto sociale.
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