Fra i diversi settori della parte speciale del codice del 1930, quello intitolato «Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione» è senza dubbio il più influenzato dai mutamenti politici, istituzionali e di costume che hanno caratterizzato la storia italiana degli ultimi settant’anni.
In esso infatti, e nelle vicende legislative e giurisprudenziali che ne hanno via via segnato l’ambito di applicazione, si sono riflessi alcuni fra i più importanti (e a volte drammatici) “passaggi” della nostra storia recente: l’avvento del Fascismo, la cui visione autoritaria del diritto penale trovò proprio in questo settore, più direttamente consacrato alla tutela dello Stato-apparato e all’esaltazione dei doveri di fedeltà allo stesso da parte dei pubblici ufficiali, un ideale terreno di coltura; i fenomeni di supplenza del potere politico da parte del potere giudiziario, che hanno caratterizzato alcuni tratti della storia repubblicana e che ispirarono, lungo gli anni ’90, la riforma di fattispecie quali il peculato o l’abuso d’ufficio [per tutti, con rilievi critici PULITANÒ, 13 ss.]. O ancora: il maturare, nella coscienza collettiva, di una visione sempre più “efficientista” della P.A. che portò, soprattutto negli anni ’80, ad un vistoso ampliamento applicativo della figura dell’omissione di atti d’ufficio da parte della giurisprudenza; l’emergere della c.d. “questione morale” e la “svolta” di “tangentopoli”, nel cui ambito presero corpo alcune, discusse figure di creazione giurisprudenziale (paradigmatico il caso della c.d. “concussione ambientale”) e si avviò un dibattito politico-criminale (peraltro, ad oggi tutt’altro che sopito) circa la fondatezza e la stessa praticabilità dell’attuale distinzione fra corruzione e concussione [BETTINI, 89 ss.]; infine, last but not least, l’opera di modernizzazione della macchina politico-amministrativa (dalla “privatizzazione” di enti e servizi alle diverse riforme in senso “federalista” degli enti locali, fino alla ridefinizione delle sfere di competenza realizzata con le diverse leggi “Bassanini”) avviata, se pur in modo discontinuo, negli anni più recenti, che, nell’intento di ridisegnare in termini c.d. “manageriali” la figura del pubblico ufficiale, ha finito in realtà col rendere assai più sfumati e sfuggenti ambito e contenuto dei tradizionali doveri di fedeltà alla legge a questo spettanti [su tutti questi aspetti, in generale, SESSA, 95 ss.; FRANCHINI, 28 ss.].
Si tratta, come si accennava, di fenomeni che, in un modo o nell’altro, hanno influenzato sia l’evoluzione giurisprudenziale che le diverse (e spesso discusse) leggi di riforma del settore succedutesi nel tempo [fra le più importanti, ricordiamo qui la legge n. 86/1990, che ha modificato ampia parte della disciplina originaria del codice Rocco; le leggi n. 234/1997 e n. 76/2020, con le quali si è a più riprese proceduto ad una ulteriore, radicale riscrittura della figura dell’abuso d’ufficio; la legge n. 29/2000, che ha esteso la qualifica di alcune significative fattispecie ai membri delle Comunità europee e degli Stati Esteri (per un ampio quadro cfr. BONDI, 4 ss.; VINCIGUERRA, 7 ss.); la legge n. 190/2012 (c.d. “legge Severino”), che in nome di una più efficace lotta al mercimonio delle funzioni pubbliche, ha ridisegnato il tradizionale impianto sistematico su cui si reggeva il binomio “concussione-corruzione” (per un primo, generale approccio GAROFOLI, 1 ss.] e che ha avuto una significativa “appendice” nella legge n. 69/2015; e infine l’assai controversa legge n. 3/2019 (c.d. “spazzacorrotti”), la quale oltre a ridisegnare il quadro sanzionatorio di alcune fra le fattispecie più significative (attraverso un forte inasprimento delle pene, soprattutto accessorie, da un lato, e attraverso l’introduzione di norme premiali incentrate sulla collaborazione processuale dall’altro), ha modificato la fattispecie dell’art. 346-bis (traffico di influenze illecite).