L’ultima e discussa generazione di agenti artificiali, fondati sul machine learning e sulle reti neurali profonde, si avvia a segnare una rivoluzione epocale, i cui risvolti sociali, culturali ed economici fatichiamo ancora a comprendere. Essa rappresenta, per dirla con Heidegger, la nuova fenomen...
L’ultima e discussa generazione di agenti artificiali, fondati sul machine learning e sulle reti neurali profonde, si avvia a segnare una rivoluzione epocale, i cui risvolti sociali, culturali ed economici fatichiamo ancora a comprendere. Essa rappresenta, per dirla con Heidegger, la nuova fenomenologia della tecnica: è trasformativa, auto-apprendente con l’esperienza, dotata di straordinaria potenza computazionale, ed è capace di generare comportamenti emergenti e imprevedibili. Per queste ragioni è quella che pone i maggiori interrogativi: etici e giuridici. I suoi processi decisionali sono opachi e difficilmente osservabili dall’interno e dunque inesplicabili; ci turba per la sua abilità nel replicare ed emulare il ragionamento umano; si sta rivelando sempre più indipendente dall’uomo. E soprattutto è in grado di fratturare le categorie giuridiche su cui riposa l’imputazione della responsabilità sia civile che penale. Questa tecnologia intelligente si evolve più rapidamente della cultura e dell’umana capacità di tematizzazione dei problemi che già affollano il tempo presente. Sullo sfondo si coglie una doppia velocità: vi è un anticipo e un ritardo; una ‘prometeia’ – quella dell’algoritmo e delle sue imprevedibili possibilità – e una ‘epimeteia’ - quella del diritto penale che, come si sa, vive di una ‘dialettica rallentata’.
In tutti i campi in cui il machine learning trova e troverà applicazione, si impone allora la domanda su “chi” e “a quale titolo” risponderà degli eventi inattesi lesivi di beni giuridici: l’uomo, la macchina intelligente o entrambi? La risposta non può che nascere da una riflessione che miri a comprendere il significato sociale dell’intelligenza artificiale e della sua razionalità di scopo, ossia la relazione, ricorsiva e riflessiva, che essa instaura con l’uomo e l’ambiente. Si propone dunque una ‘interpretazione’ di questa relazione complessa al fine di far emergere un nuovo concetto di “azione” da porre a fondamento di una teoria della responsabilità penale.
Il suo impiego estensivo è giunto a coinvolgere la corporate governance, i processi organizzativi e gli assetti gestionali dell’impresa azionaria. Vi è chi, oltre oceano, si interroga persino sulla possibilità di costituire società commerciali possedute e amministrate da agenti artificiali.
E ciò amplifica i problemi connessi all’imputazione della responsabilità penale nelle organizzazioni complesse, lungo il duplice e convergente versante della posizione di garanzia ‘nella’ organizzazione e ‘della’ organizzazione. Il recente regolamento europeo “AI Act” delinea un modello di governance dei nuovi rischi, destinato a riflettersi in termini inediti sul versante della responsabilità individuale e dell’ente collettivo. Di qui, l’esigenza di plasmare una piattaforma concettuale che sappia rispondere alle esigenze di tutela e protezione dei diritti fondamentali, senza far venir meno l’ancoraggio ai principi costituzionali che governano la responsabilità dei garanti individuali e collettivi.
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