L’analisi dei tratti rivelatori della lesività dell’atto amministrativo riflette un bisogno di tutela, individuale e collettiva, poiché proprio l’identificazione dell’atto lesivo contribuisce a preservare, dalle conseguenze del potere, il bene giuridico alterato dall’atto stesso.
La tipizzazione dell’effetto lesivo, pertanto, è volta ad agevolare la reazione dell’ordinamento rispetto al disvalore inveratosi, la stessa atteggiandosi a precipitato di un rapporto amministrazione/cittadino ispirato all’idea di protezione della sfera giuridica del destinatario, quindi, dei suoi beni e delle sue pretese.
Il perseguimento di detta aspirazione, però, non è reso agevole da un ordinamento che, nell’astenersi dal definire l’atto amministrativo, non prevede quale atto sia lesivo, rendendo, così, sempre più atipica la scelta amministrativa limitativa, la quale, in quanto priva di un chiaro dato normativo, opera nell’incertezza e nella mutevolezza della prassi.
Del resto, l’uso confuso dei termini atto e provvedimento non solo non risolve quanto, invero, acuisce i dubbi e le aporie, rendendo incerto il perimetro dell’oppugnabilità e vulnerando, quindi, il diritto di difesa.
L’ordinamento, infatti, non esclude che l’atto lesivo possa non coincidere con il provvedimento, rendendo così la lesività un tratto possibile non solo dell’atto finale, quanto, altresì, dell’atto endoprocedimentale.
Di qui, una condizione di generale incertezza, che mal si concilia con una ordinata idea del diritto fondata sul paradigma norma-potere-effetto, laddove la lesività si rivela un posterius, a sua volta, conseguenza di un agire non solo antigiuridico, posta la sua contrarietà alla norma, quanto ingiusto, se per ingiustizia si intende la lesione di un interesse giuridicamente rilevante.
Tuttavia, ciò non può né deve indurre a dequotare l’apporto dell’interprete, in quanto si è consapevoli del salvifico ausilio che l’ermeneuta deve assicurare all’applicazione della norma, nel segno, però, di una volontà che solo il legislatore può e deve esprimere onde scongiurare le conseguenze dell’arbitrio.
La conoscibilità dell’atto impugnabile risponde, così, ad un’esigenza di certezza, che si fonda proprio sulla conoscibilità del disvalore e sulla prevedibilità delle conseguenze, in seno ad un ordinamento che, se privo di razionalità giuridica, favorendo perplessità ed incertezze, nega giustizia.
La tutela diventa, così, corollario del potere, in ragione di una conseguenza lesiva che, determinando la reazione dell’ordinamento, conferisce al destinatario dell’effetto giuridico la pretesa alla salvaguardia della situazione lesa, contrapponendo alla lesività la protezione della sfera soggettiva, alla negazione del valore la sua affermazione.
La lesività, pertanto, postulando la contraddittorietà al diritto dell’effetto che la genera, diventa fonte di reazione dell’ordinamento. Sicché, indagare la lesività nei suoi tratti ontologici rende vieppiù attuale l’esigenza di tutelare il diritto nel processo, in un’epoca, come quella in atto, nella quale “il processo non ci appare più in funzione del diritto, ma il diritto in funzione del processo”.