1. Il rischio da ignoto scientifico-tecnologico come sfida per tutte le imprese al tempo del Covid-19
La pandemia da SARS-CoV-2 costituisce senza dubbio un fenomeno epocale che ha prodotto notevoli ripercussioni sotto molteplici profili, tra i quali certamente viene in rilievo anche quello giuridico, nella misura in cui l’inedita realtà che si è venuta a determinare difficilmente si lascia imbrigliare nelle categorie tradizionali, che come tali necessitano di essere rivisitate. In tal senso una delle categorie maggiormente destinate a subire le conseguenze derivanti dall’avvento di questo fenomeno è la colpa penale.
Un settore particolarmente coinvolto da tale sopravvenienza è quello della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, atteso che la pandemia ha prodotto un effetto dirompente sulla definizione dell’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro e sulla correlativa valutazione di colpa nel caso di accadimento di un evento lesivo a danno di un lavoratore.
Il riferimento va alla circostanza che per effetto dell’emergenza pandemica la questione della valutazione e gestione del rischio da ignoto scientifico-tecnologico negli ambienti di lavoro ha cessato di essere una tematica di nicchia e ha assunto una valenza di urgente attualità per tutto il mondo imprenditoriale. Non solo le organizzazioni complesse a tecnologia avanzata, operanti in settori d’avanguardia, ma tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione e dal comparto produttivo di riferimento, sono state investite dall’arduo problema della prevenzione di un rischio scientificamente incerto come quello pandemico.
Sul punto si ricorda che nel nostro ordinamento il bene giuridico della salute e sicurezza sul lavoro è oggetto di una complessa disciplina che, stratificatasi nel tempo attraverso un lungo percorso evolutivo, è confluita mediante un duplice intervento riformatore nel Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, modificato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106), il quale assume l’obbligo datoriale di valutazione e gestione dei rischi come baricentro del sistema prevenzionistico.
Ciò posto in termini generali, occorre evidenziare che finora il problema della tutela dei lavoratori dai rischi specificamente correlati al progresso delle conoscenze scientifiche e allo sviluppo delle relative applicazioni tecnologiche ha riguardato perlopiù le organizzazioni imprenditoriali complesse ad alto sviluppo tecnologico operanti in peculiari settori, come le grandi industrie farmaceutiche o le imprese che nei loro processi produttivi utilizzano agenti potenzialmente patogeni.
Con l’esplosione della pandemia lo scenario è radicalmente mutato, atteso che il tema dell’incertezza scientifica e della sua problematica incidenza sul perimetro della colpa penale del datore di lavoro si è imposto come questione di portata generale. Infatti nel contesto dell’emergenza da Covid-19 tutti gli ambienti di lavoro presentano un margine di rischio biologico, in quanto implicano il rischio di esposizione dei lavoratori ad un nuovo agente biologico dalla patogenicità nomologicamente incerta.
Più precisamente, a seguito del dilagare della pandemia tutte le imprese si sono trovate a dovere tutelare la salute dei lavoratori da un fattore di rischio biologico rispetto al quale si versava in una condizione di grave incertezza scientifica, trattandosi di un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’uomo. A tale riguardo è sufficiente ricordare la precarietà che il quadro scientifico di riferimento, in particolare durante la prima fase emergenziale, presentava sotto diversi profili, quali: le modalità di trasmissione del virus e i relativi tempi di incubazione; le condizioni di sopravvivenza del virus e dunque, ad esempio, la sua permanenza sulle superfici; la misura di distanziamento più sicura; l’idoneità preventiva di sostanze disinfettanti.
Tale incertezza, anche se nel tempo si è ridimensionata, persiste tuttora, atteso che non sono ancora del tutto univoche le conoscenze scientifiche relative alle modalità di trasmissione e alla sintomatologia della malattia; inoltre i dati cognitivi ed esperienziali che nel tempo sono stati acquisiti vengono continuamente rimessi in discussione dall’emersione di nuove varianti, le quali pongono inedite sfide alla comunità scientifica.
2. Iter argomentativo dell’indagine: un quadro d’insieme
Tenendo presente che ci troviamo di fronte ad un cambiamento di portata epocale nel settore della salute e sicurezza sul lavoro, in questa sede si intende ricostruire la fisionomia della colpa penale del datore di lavoro con riferimento al rischio pandemico, sviluppando il seguente iter argomentativo articolato in quattro capitoli.
Nel primo capitolo si procederà alla ricostruzione dello status quo del dibattito, considerando un duplice ordine di questioni: da un canto, l’insorgenza, a seguito dello scoppio della pandemia, dell’obbligo del datore di lavoro di aggiornamento della valutazione dei rischi e, correlativamente, di rielaborazione del DVR (il documento di valutazione dei rischi, noto anche come “documento di sicurezza”), in applicazione della disciplina generale di cui al Titolo I del TUSL (contenente i «Principi comuni» ai Titoli successivi del Testo Unico, ossia le disposizioni generali in tema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro); dall’altro, la rilevanza nel contesto pandemico delle disposizioni di cui al Titolo X del TUSL, che dal legislatore del 2008 sono state riservate espressamente al tema della tutela dei lavoratori dall’«Esposizione ad agenti biologici».
Nel secondo capitolo si intende prendere posizione rispetto al dibattito testé sinteticamente evocato, sostenendo in particolare quanto segue.
Con riferimento alla prima questione di ordine generale, verrà accolta la posizione maggioritaria secondo cui il datore di lavoro, a prescindere dal comparto di riferimento, è tenuto a valutare il rischio di contagio da Covid-19 nella propria azienda nonché ad aggiornare correlativamente il DVR, atteso che tale rischio, nonostante sia ubiquitario, nell’ambiente di lavoro presenta un particolare aggravamento rispetto a quanto si riscontra in generale nell’ambiente esterno, sicché ogni datore di lavoro è tenuto a farsene carico, valutando e gestendo una siffatta accentuazione del coefficiente di rischio correlata alle peculiarità della propria impresa.
Nel terzo capitolo si renderà necessario focalizzare una novità di grande rilievo, ossia la circostanza che l’ordinamento giuridico, per fare fronte all’eccezionalità dell’emergenza pandemica, si è attrezzato in modo da non fare gravare esclusivamente sul datore di lavoro le attività di risk assessment e management, promuovendo una procedura concertata mediante la quale tutti gli attori del sistema possono approdare in modo condiviso alla valutazione e gestione del rischio di contagio da Covid-19.
A sua volta, nel quarto capitolo si effettuerà una riconsiderazione critica del primo dei due suddetti profili del sistema compartecipato di gestione del rischio pandemico, ossia la questione dei protocolli condivisi, riflettendo in particolare sulla valenza che essi possono assumere in sede di definizione della colpa penale del datore di lavoro.