Le situazioni soggettive nel processo penale sono la pietra angolare su cui poggia il meraviglioso edificio costruito da Franco Cordero nel settore della procedura penale. I suoi più importanti scritti in questa materia – la Procedura penale, i Tre studi sulla prova penale e le Ideologie del processo penale – sono le strade che si diramano dal crocevia de Le situazioni soggettive, opera che, sulla scia di Hans Kelsen, tanto ammirato da Cordero, potrebbe definirsi come la dottrina pura del processo penale. Il potere e il dovere sono, come vedremo, le due elementari situazioni soggettive con cui Cordero è riuscito nella mirabile impresa di riassumere e tenere sotto controllo l’intero svolgimento del processo penale, non soltanto nelle sue fisiologiche cadenze, ma persino nelle disfunzioni, ossia nei vizi degli atti processuali.
Cordero prende le mosse dalla critica che James Goldschmidt rivolge alla teoria del processo come rapporto giuridico, sostituendovi la visione del processo come situazione giuridica: concezione statica la prima, dinamica la seconda. Tuttavia, pur apprezzando, nella parte demolitiva, il tentativo di Goldschmidt, Cordero si allontana ben presto da questa impostazione, alla quale imputa la contaminazione delle entità normative con categorie psicologiche, sociologiche e finalistiche, estranee alla scienza giuridica. Mentre loda il modello dinamico e agonistico del processo (che sarà poi magistralmente sviluppato in Linee di un processo accusatorio), disapprova l’idea della situazione giuridica, intesa come somma di aspettative, oneri, prospettive e possibilità, che operano su un piano decisamente eterogeneo rispetto a quello che dovrebbe interessare lo studioso del diritto.
Preoccupato di salvaguardare l’integrità dei concetti giuridici, Cordero procede nell’analisi con due fermi propositi, tra loro connessi ma non coincidenti perché attinenti l’uno a ciò che si dice (al logos), l’altro al modo di dirlo (alla lexis). Il primo, che nelle opere successive risulterà progressivamente attenuato, è di eliminare dal fenomeno processuale tutto ciò che non gli appartiene direttamente, quindi ogni connotato psicologico, sociologico, etico ecc. Non che l’A. ignori le connessioni che esistono tra il processo penale e le altre discipline; semplicemente le ritiene, sulla scia di un’impostazione schiettamente kelseniana, non pertinenti al tema dell’indagine. Credo che a questo intransigente impegno alla purezza dell’analisi giuridica si riferisse Francesco Carnelutti quando in una recensione, dopo avere definito Le situazioni soggettive frutto di un «intelletto forte e generoso», affermava testualmente: «Cordero rifugge dal fine come il diavolo dall’acqua santa».
Ideologicamente uniti nella difesa del processo accusatorio, Carnelutti e il giovane Cordero si dividevano sul piano metodologico e stilistico: Carnelutti, dalla vena mistico-religiosa, incline, specie negli anni della maturità, allo studio del processo con frequenti richiami a metafore e a concetti extragiuridici, finalistici, etici e, persino, teologici (si pensi all’idea medicinale della pena come ‘redenzione’ rispetto al ‘male’ del reato, che alla fine lo spinse a negare la garanzia del ne bis in idem); Cordero, spirito laico, proiettato verso un’analisi rigorosamente asciutta del processo penale, deciso a non compromettersi con le proiezioni finalistiche e sociologiche dei relativi istituti, sul presupposto della loro estraneità al fenomeno giuridico.
Il secondo proposito di Cordero è di usare il rasoio di Occam, sopprimendo, anche nella fraseologia, ogni entità sovrabbondante, non strettamente necessaria e funzionale all’analisi condotta. Questa propensione alle soluzioni ‘eleganti’ nel senso matematico del termine accompagnerà costantemente Cordero nei suoi successivi scritti, anzi si accentuerà con il passare del tempo. «Penso alla frase come al segmento di una retta: deve contenere il minor numero possibile di parole rispetto al massimo contenuto concettuale», dirà lui stesso in un’intervista a la Repubblica del 20 febbraio 2002. Denotare con il minimo di connotati è il metodo seguito da Cordero. Ogni ente non necessario, ogni parola di troppo – a cui spesso si indulge, non foss’altro per il timore di non essere compresi – gli appare come un adipe malsano che soffoca e compromette la forza dell’analisi: fra le cinque situazioni soggettive ipotizzate dalla dottrina, due sole sopravviveranno a conclusione del suo studio, essendo le altre linguisticamente riducibili alle prime. È singolare che qualcuno, suggestionato dalla sua perfetta padronanza linguistica e dal suo ricchissimo vocabolario, sia giunto a considerarlo uno scrittore di raffinatezza barocca. Nulla di più lontano dallo stile geometrico di Cordero.