C’è un tempo per la scrittura. E la scrittura ha sempre il suo tempo, i suoi tempi. Il tempo in cui è stato pensato e voluto questo testo è stato un tempo lungo e complesso, un tempo di eventi infausti, di drammi e di emergenze. Ma anche, e per fortuna, di nascite e di rinascite, umane e cultur...
C’è un tempo per la scrittura. E la scrittura ha sempre il suo tempo, i suoi tempi. Il tempo in cui è stato pensato e voluto questo testo è stato un tempo lungo e complesso, un tempo di eventi infausti, di drammi e di emergenze. Ma anche, e per fortuna, di nascite e di rinascite, umane e culturali.
Migrare come abitare è il senso profondo di una rilettura concettuale delle migrazioni, una rilettura necessaria, oggi più che mai, anche e soprattutto per lo storico del diritto. Ho tentato, nello spazio che questo tempo mi ha concesso, una breve storia del diritto internazionale che ripartisse dai “classici” per comprendere meglio, per aprire nuovi spazi di riflessione, per provare a ragionare con schemi mentali diversi; senza alcuna presunzione di esaustività, senza trarre conclusioni, ma con il forte sentimento di offrire qualche spunto utile al dibattito. Tra le mani i testi di Vitoria, Grozio, Pufendorf, Wolff, Rousseau, Vattel, Kant e le pagine della più solida e, al tempo stesso, audace dottrina ottocentesca. La storiografia più sensibile e robusta mi ha guidato in un itinerario di nuova consapevolezza che partisse da una revisione del concetto di abitare per abbozzare “a punti lunghi” una storia possibile dello ius migrandi.
Le preziose letture di Luigi Ferrajoli, Donatella Di Cesare, Saskia Sassen e, ancora, di Étienne Balibar, Marc Augé, Vincent Chetail e Iain Chambers hanno fatto il resto, attivando il corto circuito.
L’Europa, sempre più “di confine”, è stato lo spazio di questo viaggio, sospeso tra morale e diritto, tra sentimenti ora di straordinaria apertura, auspici visionari e spinte progressiste, ora di rottura e ripiegamento, secondo logiche di contingenza, decadenti e di primitiva prudenza. Una storia che ha composto e scompaginato, dato, tolto e restituito, guardando all’uomo e alle sue variabili strumentali di indigeno, cittadino, abitante, migrante, esiliante, bandito, fuggitivo, rifugiato, straniero. Eppure uomo che abita, ospite e ospitato, migrante e proprietario, che passa e che resta, al centro, oggi, nel primo ventennio del ventunesimo secolo, di un nuovo ordine concettuale, di auspicabili traduzioni costituzionali e riletture storiografiche, di nuove cure in quanto uomo, naufrago di sé stesso e delle contraddizioni più feroci di un’oramai inarrestabile globalizzazione.
Ai miei figli e alla mia famiglia, ai miei maestri e ai miei studenti, forza e concertazione tutti delle mie giornate, va il mio più grande e vivo ringraziamento.