L’analisi svolta in “Preclusioni e verità nel processo civile” è, almeno all’origine, mossa dall’idea che l’attuale processo civile italiano presenti un eccessivo formalismo che lo allontani da quel fine di giustizia e verità che l’Autore, confortato da autorevole dottrina, ritiene imprescindibile.
L’ambito dell’indagine, in particolare, è rappresentato dallo studio delle preclusioni alle attività assertive ed istruttorie interne al processo, potenzialmente capaci di allontanare la decisione da una giusta decisione, l’accertamento dei fatti da un accertamento veritiero dei fatti.
“Preclusioni e verità nel processo civile”, quindi, dapprima analizza l’origine ed il fondamento del principio di preclusione, giungendo alla conclusione che la previsione di preclusioni interne al processo discenda da esigenze di ordine e speditezza dello stesso, essendo invece estraneo alla sua ratio il principio di autoresponsabilità delle parti.
Dopo aver ripercorso le tappe evolutive del c.d. sistema delle preclusioni, sempre più orientato verso la previsioni di decadenze rigidamente predeterminate dal legislatore, l’Autore analizza l’attuale disciplina nel tentativo di fornire interpretazioni orientate a verità e giustizia.
In particolare l’Autore prospetta la tesi secondo la quale che non vi sarebbero né ragioni letterali né sistematiche per ritenere oggetto di preclusione (neanche in via riflessa, per effetto della decadenze aventi ad oggetto la formulazione e la modificazione delle domande e delle eccezioni riservate) l’introduzione dei fatti nel processo. Fermo restando che il “collo di bottiglia” sarà comunque rappresentato dalle preclusioni istruttorie, scartando l’idea che laddove sia ammessa l’introduzione del fatto debba necessariamente esserne consentita la prova.
Sono inoltre analizzate le ricadute del principio di preclusione sulle attività delle parti e sui poteri del giudice non direttamente oggetto di decadenza, con un’analisi critica che da una parte tiene conto del necessario rispetto dei principi di ordine pubblico processuale, in particolar modo il principio del contraddittorio, dall’altra tende ad individuare soluzioni capaci di ricondurre le preclusioni nell’ambito derivante dalle norme positive.
Nell’ultima parte sono analizzati possibili modelli alternativi alla rigida predeterminazione delle preclusioni, dall’esperienza dell’arbitrato, a quella dei nuovi processi c.d. a “cognizione piena deformalizzata”, alle esperienze comparate, caratterizzate da sistemi elastici di trattazione.