Il tema della criminal compliance si è, negli ultimi anni, imposto nel dibattito scientifico su scala globale. In tale contesto, la disciplina della responsabilità da reato degli enti – emblematico il caso italiano del d.lgs. n. 231/2001 – ha rappresentato un volano decisivo per il consolidame...
Il tema della criminal compliance si è, negli ultimi anni, imposto nel dibattito scientifico su scala globale. In tale contesto, la disciplina della responsabilità da reato degli enti – emblematico il caso italiano del d.lgs. n. 231/2001 – ha rappresentato un volano decisivo per il consolidamento della cultura della prevenzione mediante una adeguata organizzazione all’interno delle realtà imprenditoriali. I modelli organizzativi, in particolare, gettando un “ponte” tra prevenzione e repressione, sono divenuti un perno delle moderne strategie di contrasto al corporate crime nell’esperienza comparata. Di qui, l’esigenza di indagare le variabili che impattano sulla valutazione di idoneità/efficacia di tali misure, assumendo che la ragionevolezza di fare ricorso alla compliance per la prevenzione dei reati dipenda largamente dall’assetto dei relativi meccanismi di validazione. Muovendo da una definizione stipulativa del concetto di ‘validazione’ volta a catturarne la dimensione poliedrica, il lavoro esamina ruolo e funzionalità dei compliance program all’interno dei regimi di responsabilità da reato dell’ente in diversi ordinamenti europei (oltre all’Italia, Francia, Regno Unito e Spagna) e d’oltreoceano (Stati Uniti, Cile, Perù). Partendo dall’analisi dei meccanismi di imputazione della corporate criminal liability nei Paesi considerati, lo studio rileva il progressivo ravvicinamento tra i sistemi giuridici che hanno accolto schemi di attribuzione di tipo derivativo e quelli informati alla c.d. colpa di organizzazione, rinvenendo nel difetto organizzativo il punto di incidenza di forme di “soggettivizzazione” del rimprovero. La parte centrale della ricerca si sofferma sulla struttura ascrittiva e sugli elementi di originalità della legislazione italiana sulla responsabilità ex crimine degli enti, inquadrandone le peculiarità quale ‘paradigma di esportazione’ e affrontando, al contempo, il nodo della validazione dei modelli organizzativi nel ‘decreto 231’, anche alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali. L’analisi prosegue volgendo lo sguardo nuovamente fuori dei confini nazionali, evidenziando, nel contesto delle dinamiche punitive riguardanti i soggetti collettivi, la diffusa circolazione dei compliance program – quale fattore di attenuazione e/o causa di esclusione della responsabilità, nonché requisito per eventuali accordi negoziati –, così attestando il carattere multiforme della validazione. Nell’ultima parte del volume l’Autrice, dopo aver elaborato una tassonomia dei paradigmi di validazione dei modelli organizzativi finalizzata a delineare un framework ermeneutico di respiro generale, presenta una proposta di revisione della disciplina italiana ex d.lgs. n. 231/2001. Rilevati i limiti dell’attuale assetto, eccessivamente sbilanciato sul versante della compliance reattiva e delle condotte postume dell’ente, lo studio offre, de iure condendo, alcune articolate indicazioni di policy orientate a restituire centralità alla scelta degli enti di dotarsi di modelli organizzativi in via ‘anticipata’, in linea con il rationale di fondo del decreto.