Il volume “I diritti sindacali nell’impresa” a cura di Oronzo Mazzotta, riprende l’idea che era maturata fin dagli anni del durissimo lavoro nei campi, tra i “cafoni” della campagna meridionale, anni in cui Di Vittorio aveva acquisito la chiara coscienza della condizione gravemente subal...
Il volume “I diritti sindacali nell’impresa” a cura di Oronzo Mazzotta, riprende l’idea che era maturata fin dagli anni del durissimo lavoro nei campi, tra i “cafoni” della campagna meridionale, anni in cui Di Vittorio aveva acquisito la chiara coscienza della condizione gravemente subalterna in cui si trovavano ingenti masse di lavoratori. Al centro della sua proposta vi era la protezione della dignità, istanza che passava attraverso un disegno di realizzazione effettiva dei grandi principi disegnati solo pochi anni prima dalla carta costituzionale. “I padroni non considerano il lavoratore un uomo, lo considerano una macchina, un automa. Ma il lavoratore non è un attrezzo qualsiasi, non si affitta, non si vende. Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. […] Tutta l’esperienza storica, non soltanto nostra, dimostra che la democrazia, se c’è nella fabbrica, c’è anche nel Paese, e se la democrazia è uccisa nella fabbrica, essa non può sopravvivere nel Paese”. Non è sufficiente la mera affermazione dei diritti fondamentali – del resto già scolpiti nelle norme costituzionali – per la loro realizzazione, così, nella medesima prospettiva, è indispensabile, per il legislatore dello statuto, la presenza all’interno dei luoghi di lavoro di un contradditore-rappresentante cui affidare poteri di interlocuzione e trattativa. Nello statuto vi è dunque un collegamento perfettamente percepibile fra individuale e collettivo; anzi, in qualche misura, il “collettivo” è posto al servizio dell’“individuale”, anche senza la mediazione associativa, in una dialettica diretta con il datore di lavoro. Lo statuto ci suggerisce che dentro la fabbrica devono affermarsi i diritti fondamentali del lavoratore ed, insieme, devono potersi esaltare i nessi solidaristici fra gli individui. Il contratto continua ad essere lo strumento che consente il governo dell’impresa, ma lo statuto ridistribuisce al suo interno poteri ed obblighi, mantenendo l’idea-forza che viene da un modello formale che è l’unico in grado di rappresentare giuridicamente la contrapposizione degli interessi antagonisti.