Da quando il diritto processuale si è andato trasformando in diritto giudiziario, come ha posto in evidenza Ferruccio Auletta nel suo manuale, nella cui presentazione ebbe affettuosamente (e iperbolicamente) a paragonare la mia modesta “bottega” a quella di artisti del passato, ho cominciato a ...
Da quando il diritto processuale si è andato trasformando in diritto giudiziario, come ha posto in evidenza Ferruccio Auletta nel suo manuale, nella cui presentazione ebbe affettuosamente (e iperbolicamente) a paragonare la mia modesta “bottega” a quella di artisti del passato, ho cominciato a riflettere sul diritto processuale civile che più di un secolo fa e sulle orme degli studiosi tedeschi fu elevata a scienza da Chiovenda e dalla sua scuola. Mi sono convinto che il mirabile edificio costruito dai nostri Padri poggiava su premesse che oggi sono ampiamente erose, come il primato della legge con l’addentellato positivismo giuridico; la sovranità dello Stato con l’addentellato monopolio della giurisdizione; il processo come luogo in cui la legge viene attuata con un accertamento destinato a “fare stato”; la possibilità di costruire un sistema su solide basi concettuali.
Ho cominciato a ragionare con la consapevolezza che oggi la legge ha ceduto il passo a un nuovo giusnaturalismo, che ha fondamento nei valori sottesi alla nostra Carta costituzionale, così sostituendosi all’oggettività (tendenzialmente) assicurata dalla legge un inevitabile soggettivismo; che dovendosi intendere l’esercizio della giurisdizione come “servizio” e non come esplicazione di un potere, è ben possibile che il servizio amministrato dallo Stato coesista con quello di altri soggetti; che la giurisdizione costruita in funzione di un giudicato che “stabilizza” il passato, accertandolo, è – se non sostituita – affiancata da una giurisdizione che “regola” il futuro; che gli stessi “concetti”, che nell’impostazione sistematica avevano assunto sostanza di “cose”, devono essere riportati a ciò che sono, ossia ad espressioni riassuntive di discipline prefissate o di regole imposte.
Gli scritti che qui raccolgo mirano a fare chiarezza perché, se un tempo avevamo pensato che le regole del processo potessero essere un sufficiente controllo al potere (per sua natura incontrollabile) del giudice, oggi dobbiamo riconoscere che così non è e che, pertanto, la nostra attenzione deve essere portata sul giudice e sul suo statuto, oltre che sul pubblico ministero, che è stato da noi totalmente a lui assimilato. Un’operazione che comporta anche di avere presente quale è la “natura delle cose”, che spesso mascheriamo contrabbandando come argomentazioni tecniche scelte (soggettive) di valore.
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